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Georgia: lotta per un'Identità nel cuore del Caucaso

  • Immagine del redattore: Chiara Ramadori
    Chiara Ramadori
  • 1 ott
  • Tempo di lettura: 4 min

La Georgia, un paese dalla posizione strategica tra l’Europa e l’Asia, da anni sotto i riflettori come potenziale futuro membro dell'Unione Europea

La sua capitale, Tbilisi, è una vetrina di modernità e apertura e nasconde però profonde difficoltà culturali, storiche e sociali che rendono il paese tutt’altro che pronto per l'integrazione europea.


Perché la Georgia non è pronta ad entrare in Europa?


Il Paese ha una cultura e una tradizione che affondano le radici in un passato profondamente diverso da quello dell’Europa occidentale. 

Sebbene il paese si trovi geograficamente nella parte occidentale del continente asiatico, la sua storia, la sua lingua e le sue tradizioni sono uniche e distanti da quelle degli altri paesi europei. A questo si aggiunge una società patriarcale che è ancora molto legata a valori tradizionali, in cui la famiglia, la religione ortodossa e le pratiche antiche giocano un ruolo preminente. 

L'idea di una "società europea" con diritti civili, uguaglianza di genere, e libertà di espressione, non sempre si riflette nella vita quotidiana di tutti i georgiani, specialmente fuori dalle grandi città. In questo contesto, non è difficile immaginare quanto difficoltosa sarebbe una transizione verso una società che rispetti gli “standard europei”, in particolare per le zone più remote del paese.


Quanto a posizione geografica, il paese è effettivamente isolato: la Georgia è separata dall'Europa dalla catena montuosa del Caucaso e da un contesto geopolitico che la pone spesso in una posizione di tensione, tra la Russia e l’Occidente. La distanza fisica e le difficoltà di trasporto in un paese non dotato di infrastrutture moderne, soprattutto nelle zone periferiche, complicano ulteriormente l'idea di un'integrazione fluida con l'Unione Europea, mentre la Russia preme da Nord.

Le comunicazioni tra la capitale e le zone più remote sono ancora limitate e, spesso, il paesaggio montano e le strade mal tenute rallentano non solo i viaggi ma anche la diffusione di idee e pratiche moderne. Le difficoltà logistiche fanno sì che la Georgia rimanga ancorata a una realtà più simile a quella dei paesi dell'Asia centrale e dell ex Unione Sovietica piuttosto che a quella europea.


Tbilisi è senza dubbio una città moderna, cosmopolita e apparentemente accogliente, dove sventolano bandiere arcobaleno affianco a bandiere Ucraine (più in funzione AntiRussa che in funzione solidale), dove anche la moderna cultura Woke ha un suo seguito, ma tanto non basta a vestirla con panni europei. Le strade della capitale sono piene di caffè alla moda, ristoranti gourmet e negozi di lusso, con una scena culturale che richiama quella delle capitali europee. 


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Ma questa è solo una facciata


La Georgia che si vede a Tbilisi è un paese che cerca di mostrarsi al mondo come moderno e aperto, pronto a integrare l’Europa. Ma, quando si esce dalla capitale o semplicemente dai quartieri centrali,  la realtà cambia drasticamente.

Le zone periferiche sono spesso dimenticate, con una qualità della vita che rimane molto distante da quella della capitale.

In queste aree, la gente vive in condizioni più difficili, in edifici dal brutalismo Sovietico, lontana dalle opportunità e dai benefici di una globalizzazione che a Tbilisi è ormai palpabile. Non solo questo crea un divario economico, ma anche un divario culturale. Le tradizioni antiche e la mentalità sovietica, che in alcune aree del paese sono ancora molto forti, sembrano essere quasi indifferenti al mondo moderno e all’isola sorda e felice della capitale. 

Tbilisi, quindi, può apparire come una facciata progressista, ma dietro di essa esiste un paese che è diviso tra il desiderio di modernizzazione dei giovani e la resistenza a cambiare delle Babushke, che spesso nascondono altarini di Stalin nelle proprie abitazioni. 


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Le reminiscenze sovietiche e la battaglia generazionale


La mentalità di molte persone nelle zone rurali è ancora fortemente influenzata dalle reminiscenze sovietiche, come il controllo centralizzato, la burocrazia pesante e una visione molto chiusa del mondo, tanto da rivolgersi in lingua russa ad ogni straniero come se fosse ancora quella la lingua del loro bacino internazionale


Un altro grande ostacolo per l'integrazione europea della Georgia è appunto  la battaglia generazionale che divide il paese. 

I giovani della capitale sono più orientati verso l’Europa, sognano un futuro in cui la Georgia possa essere parte di un’unione economica e culturale che rispetti i loro diritti e le loro libertà. Ma la generazione più anziana, che ha vissuto sotto il regime sovietico, è ancora molto legata alla vecchia mentalità, sospettosa nei confronti degli stranieri e dell'Occidente. La loro mentalità è spesso impregnata dalle esperienze sovietiche di autarchia, di isolamento e di centralismo.


Questa divisione crea una frattura interna nel paese che non solo rallenta il progresso, se così piace chiamarlo, ma aumenta anche le difficoltà di un'eventuale integrazione. La mancanza di coesione tra le diverse generazioni e il contrasto tra il desiderio di modernità e la difesa delle tradizioni è un ostacolo enorme per l'ingresso non tanto nell'Unione Europea ma quanto nella mentalità europea.


Infine, va sottolineato che sebbene Tbilisi sia una città che accoglie con entusiasmo i turisti (e poi e poi...), fuori dai confini della capitale il paese non è altrettanto pronto ad abbracciare il flusso turistico che una seria integrazione europea comporterebbe. Molti georgiani, specialmente nelle aree rurali, sono ancora diffidenti nei confronti degli stranieri, vedendoli come intrusi in un paese che ha sempre cercato di preservare la propria identità. 

La diffidenza resta forse comunque l’unico filo che unisce giovani ed anziani, con la differenza che i primi cercano di non farlo notare.


Tbilisi, con la sua facciata di apertura, non basta a nascondere le sfide che il paese deve affrontare per essere veramente integrato nel contesto europeo. 

A volte non basta una bandiera sul balcone, anzi, non basta quasi mai.


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